Partenza alle 9, diluvio che dio la manda (la pioggia). Ma si parte comunque. I tempi incombono, c’è una tabella di marcia da rispettare. Siamo peggio dei pellegrini, che fermarsi potevano, se non c’erano scadenze da rispettare: bastava arrivassero, era quel che contava. Al bar locanda Stella D’Oro di Verzegnis è un viavai di locali che vengono a fare colazione, arriva pure il sindaco, per salutarci. “Partite anche con questa pioggia?”
Certo, si va, dopo un tè ben caldo e dei biscotti della casa proprio buoni. Imbocchiamo un vicolo di ciottoli e poi giù, verso il lago. Sono con Nicolò Giraldi, che ieri è partito da Collina di Forni Avoltri e fra 15 giorni sarà in Istria. Ripercorre i sentieri dei suoi antenati e dei carnici che dal 1500 in poi scesero al mare per fare commercio ed esplorare nuove terre. È un migrare che vuole evocare altre e recenti migrazioni, nuovi e drammatici esodi. Le differenze, fra ieri e oggi, ci sono, ma non sono poi così strabilianti: anche i carnici che scendevano in Istria facevano paura, a modo loro. Nicolò racconterà tutto in un diario, e poi in un libro. Intanto, fa interviste in tv e alla radio, pubblica diari sui giornali, insomma si dà da fare e ha ascolto. Segno che il tema interessa. Segno che camminare fa (ancora) notizia.
Perché Nicolò va a piedi, e io oggi l’accompagno. Scendiamo da Verzegnis con il diluvio, arriviamo al lago artificiale che siamo già fradici. Le nuvole galleggiano sull’acqua color turchese, passiamo il ponte e poi imbocchiamo il sentiero per Pusea. Entriamo dentro un bosco bellissimo, di noccioli e faggi e salamandre nere a macchie gialle che ci attraversano la strada. Ne contiamo 25, alcune sono purtroppo defunte, schiacciate dalle automobili. Sui sentieri dove si va solo a piedi, sono tutte vive. Ovvio, ma è bene sottolinearlo.
Il nostro cammino finisce a Val, alla trattoria Al Pescatore (qui, in mezzo ai monti). Ci fermiamo per aspettare i ragazzi del blog Fuori dal comune, vincitori del Premio Terzani Giovani per un lavoro sui migranti. Davide Sciacchitano li coordina, il prof Paolo Marsich è il referente per il liceo Magrini di Gemona. Hanno intervistato i rifugiati a Udine, hanno chiesto quali sono i loro sogni, i loro desideri. Hanno chiesto perché tanti di loro dormono ancora all’aperto, per la strada. Perché? Perché succede? Perché noi, che viviamo in una società avanzata e civile, permettiamo che accada?
Nicolò ha raccontato perché cammina, perché ha messo il suo corpo e la sua fatica al servizio di un progetto: quello di immedesimarsi nei passi e nei destini di chi ieri e oggi migra, si sposta, cerca nuovi orizzonti e diverse prospettive di vita. Lo segue Stefano De Franceschi, giornalista di Tele Capodistria: anche lui, mezzo istriano e e mezzo carnico (di Cercivento), ripercorre le radici, ritrova modi e luoghi che i suoi genitori hanno condiviso e gli hanno trasferito. Io ascolto, e registro. Non mi sono mai sentita migrante, né straniera. Ma è forse perché non mi hanno mai fatta sentire tale, e per questo ringrazio chi mi ha messa alla luce, chi mi ha accolta. Eppure ho viaggiato, mi sono trasferita, ho seguito le pur piccole migrazioni della mia famiglia. Questione di prospettive. Questione di orizzonti. Questione di umanità. Quella che i ragazzi del blog Fuori dal comune hanno restituito ai migranti accolti a Udine. Quella che spinge Nicolò a faticare sui sentieri dei suoi nonni, dei suoi avi. Quella che dovrebbe guidare tutte le scelte delle comunità e dei comuni, della politica. Quella che ci identifica e ci distingue. Siamo umani. Restiamo umani.