Viandanze. In cammino con la fotografa

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Ulderica Da Pozzo, fotografa, antropologa, incessante narratrice della sua terra, esploratrice curiosa, ci stupisce ancora una volta con la nuova mostra esposta nella sua Cjasa da Duga, dentro il “Borg da Memorie” di Salars che le è così caro. A Ravascletto ha inaugurato a metà agosto e dura fino al terzo weekend di settembre, assieme ad altri eventi. Come venerdì 9, alle 20.30, la presentazione del libro “Viandanza” (Laterza) con l’autore, Luigi Nacci e, il giorno dopo, il cammino con lui e i Rolling Claps, associazione di camminatori che amano andare per le antiche vie dei pellegrini, dei pastori, dei mercanti, dei contrabbandieri, dei viandanti, della memoria, quale sarà il percorso di Ravascletto, che toccherà gli stavoli dove le madri, i padri e i nonni portavano in estate gli animali a pascolare e andavano a coltivare e a fare fieno per l’inverno.

Nel percorso di sabato, non mancheranno i riferimenti e gli incontri con l’acqua, per collegarsi al tema della mostra esposta a Cjasa da Duga. Un lavoro poderoso, emozionante, che origina dalla ricerca di Ulderica lungo i più importanti corsi d’acqua friulani, dalla montagna al mare. Ma ci sono anche i suoi rii, i fiumi minori. Come il Margò, che scorre sotto la sua casa di bambina, dove andava a giocare e che ha ritratto ghiacciato, la neve che anestetizza i ricordi e cristallizza il tempo che passa.

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“Le voci dell’acqua” è una mostra che trabocca di senso e di significati, finanche di spiritualità, con i sassi e le bottiglie d’acqua di ciascun fiume appoggiati a terra, ai piedi delle fotografie, per scelta dell’artista: ciascuna a raccontare una storia, una leggenda, un destino, una perdita o un miracolo.

La mostra e il libro omonimo, edito da Forum con il Consorzio Bim Tagliamento, ci interrogano e ci sollecitano a riflettere. Anche grazie alla parole, sempre precise, mai prevedibili, con cui l’autrice correda i suoi lavori: didascalie che si dilatano in racconti brevi, piccole grandi storie di vita e di esperienza con cui lei ci spinge a guardare oltre la pura bellezza delle immagini. Il critico Guido Cecere sottolinea la tendenza dell’autrice all’astrazione ma anche la sua ansia di descrizione, di scavo antropologico, che fa della sua opera prezioso materiale irripetibile di memoria in tempi frettolosi e distratti. Ecco allora che il limpido turchese del lago di Tramonti nasconde case di pietra e storie di fatica. Nei riflessi e nell’impeto del torrente Chiarsò, c’è immortalato anche “il rumore dell’acqua ti racconta tutto un mondo” e si sente “la forza dei boscaioli che si calavano giù con le corde per trasportare a valle il legname”. Poi c’è la pioggia, che arriva in montagna veloce e felice, perché “sapevamo che era buona, che bagnava gli orti e dava vigore alle sorgenti”. I mulini, uno in ogni paese. Imprescindibili come i ricordi: “Girano come il tempo, macinati dalla pietra grigia”. Le dighe, maestose e stravolgenti: “Ma le pare che non abbiamo la luce?”  racconta una donna che vive a due passi da uno dei più colossali impianti idroelettrici della nostra regione. E Ulderica registra, e fotografa tutto.

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Senza acqua non c’è vita. Una affermazione lapalissiana della quale spesso ci dimentichiamo. Vediamo l’acqua scorrere nelle rogge e nelle fontane, apriamo i rubinetti per lavarci e bagnare i giardini, la compriamo imbottigliata in quantità pensando che sia inesauribile, che sia sempre buona, pura, incontaminata, che ce ne sia per tutti. Invece non è così. L’acqua va difesa, protetta, tutelata. Va amata e quindi guardata, toccata, osservata, conosciuta, riconosciuta in ogni sua espressione. Anche quando è un fiocco di neve, una pozzanghera, una stalattite, una valle alpina modellata dalla glaciazione. Questo ci vuole dire Ulderica Da Pozzo. L’acqua ci chiama e noi dobbiamo ascoltarla. Lei, con la sua sensibilità, ci aiuta a farlo, trovando origini e simboli, sfumature e messaggi. Nella loro ben inquadrata intensità, le sue fotografie – eloquenti, provocatorie, ispirate – ci rivelano la verità più del vero. E ci fanno esclamare di meraviglia, o ci inteneriscono fino alle lacrime, sempre per indurci a pensare. E a trasformare la nostra percezione nei confronti di questo meraviglioso elemento che si chiama acqua.

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Che dire di Luigi Nacci che i lettori di questo blog non conoscono? Ripropongo qui la mia recensione al suo libro.

LA VIANDANZA, UN ALTRO MODO DI STARE AL MONDO

“Questo è un libro delle domande. Scritto da un sognatore diurno per altri sognatori diurni, alla cui schiera anche tu appartieni o desideri appartenere. Hai fatto il cammino, o lo farai, per sognare ad occhi aperti e in pieno giorno un’altra vita. Un altro modo di stare al mondo: dove il pane si divide, le porte non si chiudono, le cose di cui si ha bisogno sono poche, le relazioni non sottostanno al potere e al denaro, e dove ogni gesto è gratuito e ogni speranza ha di fronte a sé una strada aperta”.

Così scrive Luigi Nacci del suo libro, Viandanza, di cui colpiscono l’intensità, l’introspezione, la vivezza del racconto. la conoscenza minuziosa e meditata dell’esperienza sulla strada. Nacci descrive e ragiona sui cammini che ha compiuto a Santiago di Compostela e sulla Francigena: su quelle strade ci è andato più e più volte, ci ha sudato, sofferto, ha gioito e goduto. Descrive una salita e sentiamo con lui la fatica. Si siede al tavolo con i pellegrini e anche noi lettori  guardiamo negli occhi quelle donne e quei uomini, proviamo curiosità, sentiamo l’imbarazzo del primo incontro e della condivisione di stanze affollate e rumorose, letti scomodi ma anche albe romantiche e memorabili nottate. Chi cammina troverà una conferma di sensazioni e visioni, riconoscerà nelle pagine pezzi di proprie esperienze. Tutti vivranno, attraverso queste pagine, l’esperienza del sognatore diurno come si definisce l’autore all’inizio di questo articolo: colui che non smette di interrogarsi e che non si accontenta di prendere ciò che trova, ma che invece vuole trovare ciò che desidera.

C’è anche tanta poesia, perché Nacci è un poeta e ai poeti si affida: Leopardi, Dickinson, Pound, Král e altri lo accompagnano sulla strada ma mai per cantare i luoghi, semmai per rinforzare stati d’animo, emozioni. Quello raccontato in Viandanza è infatti un viaggio dentro di sé, per e con se stessi. E’ “il cammino come educazione sentimentale”: Paura, Stupore, Spaesamento, Nostalgia, Disillusione, Allegria, Arroganza, Umiltà sono capitoli del libro. La prosa, ritmata e precisa, ha il passo del buon camminatore. Così come il contenuto dello zaino si vaglia con metodo, così nulla si dà per scontato: tutto è sviscerato, messo a nudo. Nacci spoglia delle sue finzioni e mitologie il cammino della vita, lo porta all’essenza, ai fondamentali. Diventa il viaggio dell’uomo su questa Terra, la sua parabola. Mettersi sulla strada significa vivere pienamente. E alla fine tutto torna, tutto si tiene quando si parte caricandosi sulle spalle solo l’essenziale. Viandanza, pellegrinaggio, profuganza: sulla strada siamo tutti uguali. Ancora Nacci: “Togliendo, levando, sottraendo, riusciamo a discernere il superfluo dal necessario. Cadono le corazze, le maschere, e restiamo noi: nient’altro che umani. Ecco perché ci spaventano i disperati che fuggono dalle guerre e dalle miserie, arrivando da noi sui barconi o saltando fuori dalle foreste. Ridotti in stracci, donne e uomini allo stato essenziale, ci ricordano come siamo. Sono specchi ambulanti. Come possiamo pensare, tu ed io, che siamo stati straccioni sulla strada, di non accoglierli? Quando si è stati pellegrini, viandanti, forestieri, clandestini o nomadi una volta, lo si è per sempre.”

Luigi Nacci presenta Viandanza venerdì sera alle 20 e 30 a Cjasa da Duga con Alessandra Beltrame. Per camminare, sabato dalle 9.30 con Luigi, Alessandra, Ulderica e i Rolling Claps non serve prenotarsi: basta salire a Cjasa da Duga, accanto alla chiesa del borgo di Salars di Ravascletto.

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