Sant’Angelo Muxaro, la Sicilia dei siciliani

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Sant’Angelo Muxaro, mille anime e poco più, ha quattro bar in piazza. C’è quello dove si gioca a carte, quello dove si guardano le partite, quello dove ci si siede sotto la pergola a “taliare” il passeggio. Poi c’è “il bar dei giovani”, quello dove facciamo base. Non ha insegne ma si chiama La Dolce Vita. Ci sono il karaoke e la barista bella, Enza, che in realtà farebbe l’assistente domiciliare ma l’Inps l’ha lasciata a casa senza paga. E’ tornata in Sicilia per amore, viveva a Verona. Su Facebook posta le sue foto da sciantosa con il bel marito. Camillo è il proprietario del bar, lui apre la sera e fa le cose in grande: per sabato ha organizzato una “cagnotta”, cioè “una vera terrunata” (lo dice lui), seratona con due cantanti e una gran mangiata, ha noleggiato un agriturismo poco fuori il paese altrimenti non ci stanno tutti, si sono iscritti in 130. “Venite, non potete perdervela” ci invita. Ma noi già non ci saremo più. Abitiamo per una settimana in questo paese dell’Agrigentino. Si sta nelle case, si mangia ospiti delle famiglie, così è un po’ come diventare parte della comunità. C’è chi viene da Milano, Bolzano, Torino, Forlì, Siena, Venezia. Ci ha scodellato un pullmann davanti al bar suddetto dopo tre e più ore da Palermo o da Trapani, attraverso mezza Sicilia. Anche i tempi del viaggio danno l’idea del cambio di passo. Qui si rallenta, per forza. E non solo perché siamo venuti per andare a piedi. Qui c’è ancora un banditore pagato dal Comune per annunciare le novità. Altro che Internet (infatti al bar dei giovani ci andiamo perché c’è il wi-fi che funziona).

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E’ un cammino attraverso i monti Sicani quello che ci ha portato qui. Avviene tutti gli anni in febbraio, stagione fuori stagione ma preziosissima, perché ora fioriscono i mandorli, e non c’è albero più bello. Mille ce ne sono solo nella Valle dei Templi, il sito archeologico è anche un parco naturalistico protetto vasto 1300 ettari. A noi viene offerta l’opportunità di percorrerlo a piedi lungo i nuovi sentieri che si stanno inaugurando per cicloturisti e camminatori. Il turismo lento ha dei privilegi. Ci guida Nanni Di Falco della Compagnia dei Cammini: sua l’idea di scoprire la Sicilia a piedi e, in particolare, questa zona completamente sconosciuta al turismo di massa, che ha peraltro anche spiagge deserte lunghe chilometri protette da oasi naturalistiche (Torre Salsa). Pierifilippo Spoto è invece il muxarese che si è inventato la formula dell’ospitalità diffusa, e ha fatto aprire le case ai suoi compaesani. Ci è voluto un po’, racconta, perché i siciliani sono gelosi dei loro spazi privati, e poi non volevano sfigurare. Ovunque in Italia sarebbe stato lo stesso, secondo me. Perché queste sono case vere, non albergatori che fingono di fare gli affittacamere. La scommessa (vinta) è stata questa: coinvolgere la gente del paese, non i furbetti che sfruttano il turismo, per far arrivare i soldi direttamente a una terra che soffre di disoccupazione endemica, che è ancora ai primi posti in Italia per emigrazione. Piace soprattutto agli stranieri, la formula, gli olandesi ne vanno matti. Un amico che affitta camere di lusso nel suo baglio a Marsala mi ha detto: “Anche tu vai a Sant’Angelo? Ma cosa c’è là? Non faccio che ospitare turisti che mi dicono che ci sono passati, o che ci stanno andando. Tutti stranieri”. E’ un “turismo esperienziale” che sta prendendo piede. Qui, in questo paesino arroccato sui Sicani che manco i siciliani conoscono, si fa da anni.

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Sant’Angelo, detto per inciso, ha di suo vestigia più antiche dei templi dorici di Akragas: qui c’era il regno del re sicano Kokalos e c’è una necropoli spettacolare, tombe a tholos (a cupola) e a forno bucano le rocce gessose e fossili di tutta la zona, le trovi fra asfodeli violetti e cespugli di gialla euforbia, ferule disseccate e soffici ciuffi di assenzio. Spuntano su rocce rossastre dopo boschi di eucalipto, e in cima al monte Guastanella, nella vicina Santa Elisabetta, trasformato in un Machu Picchu nostrano dalla solerzia di un pubblico amministratore che ha lastricato di costosi (e scivolosissimi) scalini l’ascesa alla grande tomba in vetta. Pure le luci ci hanno incastonato nei gradini, mentre attorno è solo natura, pecore al pascolo, campi di grano, di fave, e i soliti, tenerissimi mandorli. Più discreto l’intervento attorno a Sant’Angelo: transenne in metallo e cartelli esplicativi (spesso illeggibili) accompagnano nella passeggiata “su per i gessi”, spettacolari formazioni di cristalli opalescenti. Il panorama dei picchi circostanti sorprende: non si può parlare di colline perché sono più erte; in cima i profili sono come tagliati con l’accetta. Ti sembra di essere finito in un paesaggio nordico, e invece sei a due passi dall’Africa.

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Infatti quando il secondo giorno scendiamo verso il mare (il trekking è a stella, dal paese si parte ogni giorno per una direzione diversa, e l’approdo è ogni volta stupefacente) troviamo un “paìs tropical” che neanche ai Caraibi: agavi elefantiache, mare turchese (nuvole permettendo) e spiagge protette da falesie color ocra. Ma, subito dietro, ecco le pecore, i pastori, e quei verdissimi prati che ti fanno venire in mente l’Irlanda. Insomma, l’Agrigentino confonde, soprattutto in questa stagione.

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Piove e si affonda nell’argilla, poi Punta Bianca è un’oasi di luce fronte mare (come la villa – abusiva? – che sorge superprotetta accanto). Si cammina fino al Castello Chiaramontano di Palma di Montechiaro, che una giovane architetta apre solo per noi. Ciuffi di assenzio invadono i gradini secolari, così come orlano molte strade: a me piace strappare un rametto e sfregarlo fra le dita, sprigiona un odore inebriante.

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Siamo nelle terre del Gattopardo e lo scopriremo anche dopo, andando a prendere i “biscotti ricci” dalle monache benedettine di clausura, quelle della “diabolica” beata Corbera di Tomasi. La monaca spunta occhialuta e imponente e prende i soldi attraverso una grata, poi passa i dolcetti girando una ruota di legno. Accettano anche prenotazioni, come in pasticceria. In municipio, un isolato più in là, ci riceve il sindaco, Pasquale Amato, fresco di minacce mafiose, arrivate per lettera. Ci racconta, fra belle citazioni (Danilo Dolci), che del milione di euro e più che spetta di Imu al Comune, finora ne hanno incassati meno di 40 mila. Per consolarsi, porterà Claudia Cardinale a ripercorrere i luoghi del film e farà un gemellaggio con Tunisi, terra natale dell’attrice. Perché siamo nel Mediterraneo e dobbiamo creare ponti, non affondare barconi o dichiarare guerre. Dice che la Sicilia è “come una zingara, che sotto lo sporco è bellissima” e che la classe politica che l’ha governata non è capace di “fare un occhio a una pupa”, figurati gestire la sua complessità. La non legalità porta vantaggi immediati, questo è il dramma, qui nessuno pensa a domani.

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Se a pranzo abbiamo fatto tappa da un pastore, il simpatico Totò Buscaglia, per assaggiare la sua ricotta di latte crudo fatta la mattina stessa, la sera si cena sempre nelle case dei muxaresi. Mettere a tavola 15 persone può essere un’impresa, ma non per queste famiglie con tanti figli e cugini. L’ospitalità è diffusa, si abita in sei, sette case. Da Giosina, laureata in lingue e mediatrice culturale, o da Dora, che ama sfornare dolcetti per gli ospiti. La spesa si fa negli stessi posti: noi diventiamo habitué dell’emporio di Mary, dove si trova di tutto, dalle calze alla parigina alle matite per disegnare un souvenir sul diario del viaggio. Si condividono, anche, i problemi. Per esempio, si scopre che l’acqua arriva a giorni alterni e che tutti hanno le cisterne sui tetti, così non si rimane senza (si spera). Annoso problema, quello dell’acqua, da queste parti. E non perché l’acqua non ci sia, ma perché è gestita malissimo. Ad Agrigento ne arriva ancora meno. Maria è una delle padrone di casa che cucina per tutti. Da ragazza stava a Bedford, England, dove i suoi (e mezzo paese) erano emigranti. Ha il caschetto rosso e le lentiggini che sembra una anglosassone, ci mette a tavola in venti nella sua cucina senza fare un plissè. La mattina si alza alle tre perché fa la fornaia. Macco di fave, pasta con il sugo al finocchietto, frittata di asparagi selvatici, parmigiana. Da mangiare avanza sempre, ma poi se vogliamo ci fanno la “fangotta”, cioè la doggy bag. Il menù è simile anche a casa di Maria Rita, ed è una gara a chi fa le cose più squisite. La caponata del papà va a ruba, si finisce sempre con una arancia digestiva, le più buone sono le “maniglia”: dolcissime.

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Mangerò altre arance indimenticabili: le sanguinelle bio di Aldo Bongiovanni, il “seed saver” di San Biagio Platani, altro paese da ricordare, se si passa di qui a Pasqua: fanno una festa sontuosissima, ornando le strade di archi di pane e di frutta, ci lavorano su tutto l’anno. Aldo regna su un giardino delle meraviglie fuori dal paese. Ha un sorriso d’attore, i capelli raccolti in una coda di cavallo. Distilla mandragora e mille altre erbe curative, miscela tisane e spezie che si possono anche acquistare. Pittoreschi vialetti svelano sculture formate da sassi sovrapposti in equilibrio, segni runici sono incisi in altri. Recupera e salva piante abbandonate e secolari, e sulla veranda della sua casa in legno offre spuntini a base di fiori freschi e frutti del suo orto. Come le sanguinelle, o le olive, le mandorle, i pistacchi. Una festa dei sensi.

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Nei dintorni ci sono anche Caltabellotta, quella della “Pace” del 1302 tra Aragonesi e Angioini, mica poco, e Santo Stefano Quisquina con l’eremo della patrona di Palermo, Rosalia. Luoghi incantevoli, che però la neve caduta in questi giorni ci impedisce di raggiungere. Ci dovremo tornare. Ripieghiamo (quel giorno diluvia) su Favara, che è una brutta cittadina (e pensare che è la capitale delle imprese edili: ne ha avute anche 100, lavoravano in tutta Italia!) ma nel suo centro storico fatiscente è nato il Farm Cultural Park, invenzione di un mecenate con il pallino dell’arte contemporanea. Nel deserto delle idee, ci stuzzica. Ha comprato un quartiere e ne ha ricavato installazioni di giovani creativi. Scenograficamente soddisfa l’obiettivo delle nostre macchine fotografiche, ma ora è deserto.

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Agrigento è caotica e slabbrata, i condomini che soffocano la città vecchia li vorresti dimenticare, il centro antico sarebbe un presepio ma è tutto da rifare. Però la vista è favolosa, la città nuova si è piazzata sul colle che domina la Valle dei Templi, lasciati per fortuna indenni da speculazione. Ora il Parco è protetto e c’è chi lo amministra bene. Finalmente è stata realizzata la passerella pedonale sulla strada statale che taglia in due l’area archeologica, ci sono sei campagne di scavo con studiosi da mezza Europa, e la mostra sui vasi attici è un gioiello per allestimento e idea. E’ la stagione giusta per visitare il Museo del Mandorlo: sapevate che è dentro il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi? Sapevate che ci sono 300 tipi diversi di mandorlo? Io no.

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Né sapevo che la capra girgentana ha le corna arricciate ed è anch’essa una specie di reperto archeologico. Infatti ha un suo recinto protetto non distante dal favoloso Tempio della Concordia, dentro il Parco, dove pastura arbusti spinosi e si gratta sui carrubi. Mungerò una capra girgentana il giorno dopo al Feudo Muxarello, azienda agricola con camere e piscina dove Calogero e Sandra vivono con quattro figli piccoli e dolcissimi. Da quando hanno aperto, l’estate scorsa, fioccano le prenotazioni. Sono soprattutto stranieri, chissà perché. A mezz’ora ci sono due luoghi imperdibili: Racalmuto, paese di Leonardo Sciascia e della sua Fondazione, e il parco di archeologia industriale della miniera di zolfo che era della famiglia Pirandello: sontuosamente restaurato, è lasciato a sé stesso. Mentre la Fondazione Sciascia ha un solo dipendente che fa i salti mortali per tenere aperto. Diversa la condizione di Casa Pirandello, a contrada Kaos, fra Agrigento e Porto Empedocle: c’è ben poco da vedere, ma è ben presidiata di dipendenti, guardiani, bigliettai. Poi ti chiedi perché il turista ad Agrigento è mordi-e-fuggi: arriva da altre zone della Sicilia, visita i templi e se ne va in serata. Scoprisse i Sicani (con le guide giuste) cambierebbe idea.

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Nelle foto, dall’alto: l’euforbia sui gessi di Sant’Angelo con vista su Santa Elisabetta; Sant’Angelo Muxaro; una ferula, sullo sfondo dei Sicani coltivati; una spiaggia della riserva di Torre Salsa; un gregge vicino a Punta Bianca; in cammino verso Palma di Montechiaro, in fondo si vede il castello; la mungitura delle pecore a Sant’Angelo; i mandorli in fiore nel Parco della Valle dei Templi; il Farm Cultural Park a Favara; l’Icaro Caduto di Mitoraj e il Tempio della Concordia; una capra girgentana; una spiaggia agrigentina.

 

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