Pastori, cervi, cani & scarpette di Venere

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4 giugno, mercoledì

Come accadeva fino a pochi anni fa per le pecore, che a settembre scendevano dagli stazzi per andare in transumanza nelle più tiepide e fertili piane della Puglia, anche noi viandanti, che questa settimana percorreremo le antiche vie fino a Sepino in Molise, ci siamo fatti gregge (in inglese “flock”: parola bellissima. Pensi a fiocco, batuffolo, a tante pellicciotte che avanzano fluttuanti come nuvole nei pascoli del cielo –  e il titolo di Steinbeck non spunta a caso).

Ci siamo ritrovati nella piazza di Pescasseroli, da cui partiva il Regio Tratturo. Ad accompagnarci c’è ovviamente un pastore, che è la nostra guida. Cesidio: nome più marsicano non c’è. E’ sua la riscoperta dei tratturi come moderni cammini per viaggiatori lenti e consapevoli. Poi ci sono i cani, ça va sens dire. Uno è quello del pastore: Nim, secondo nome Argento Vivo (di mantello e di carattere), lupo cecoslovacco che non conosce la parola “fermo” nemmeno quando dorme. Si unirà a noi anche un mastino abruzzese di passaggio: pelo candido, testa e schiena massicce, ci scorterà per una buona metà del cammino, tenendoci d’occhio e passando il tempo a giocare e correre con Argento Vivo-Nim, a puntare i cervi e i caprioli che incontreremo lungo il cammino, ad annusare le tracce dei lupi che vedremo anche noi (solo le tracce, non i lupi, sic). Più che governare le pecore, i mastini abruzzesi erano allevati per difenderle dai lupi e dagli orsi. Per proteggersi dai morsi alla gola, i pastori fabbricavano per loro spessi collari con punte in metallo. Chissà se il nostro cane ha mai scortato un gregge, di certo ora se lo fa le accompagna a bordo di un camion, che è il modo con cui avviene la trasumanza nel ventunesimo secolo.

Con questa formazione, siamo usciti dal paese e ci siamo incamminati sulla  “autostrada delle pecore” che era il tratturo, largo tanto da ospitare i milioni di bestie che ci dovevano passare ogni stagione. Gli aragonesi codificarono la misura in 60 piedi napoletani, pari a 111,11 metri. E in certi punti la vedi questa ampiezza, e ti pare che le pecore ti siano tutt’attorno, senti l’odore aspro della loro presenza, il tintinnio dei campanacci, l’eco dello scalpiccio di migliaia di zampe. Percorriamo una pianura che ci porta alla rocca di Opi. Un tempo qui c’era un lago, e il fango umido sul fondo lo ricorda. Gli inglesi dicono “swamp”, palude, ma sopra è cresciuto un pratone punteggiato di ranuncoli gialli e margheritine. I nostri piedi lasciano la scia sull’erba alta, camminiamo in fila indiana per lasciare meno tracce del nostro passaggio. Un po’ come fanno i lupi, che mettono le zampe sulle stesse orme di chi li precede, così da non far sapere quanti sono.

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A Opi la sosta è breve, sotto il paese che sta abbarbicato. Si ferma con noi un gruppo di motociclisti che arriva da Bregenz, Austria. Con le tute in pelle in cui sono inguainati, mi fanno un po’ pena sotto il sole che già scotta. Ci infiliamo nel bosco, è un bell’andare. Sfioriamo la Val Fondillo, il sentiero è pavimentato di foglie secche, la luce che filtra crea magnifiche rifrangenze. La musica è il ritmo dei nostri passi. La Camosciara, il nucleo storico del Parco, è un anfiteatro di rara bellezza (foto sopra). Ci accompagnano cerri, sambuchi, ginepri, aceri e i soliti, fantastici, generosi faggi. Avere una guida – pardon, un pastore – ha i suoi vantaggi: imbocca un sentiero verso il fiume e ci svela la scarpetta di Venere, prezioso fiore (foto in alto). Fioccano le foto: lo spettacolo della natura continua a sorprenderci.

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Arriviamo a Villetta Barrea (qui sopra, sullo sfondo, oltre il lago) dopo un incontro ravvicinato con un cervo femmina e il suo piccolo. Un ponte di legno oltre il Sangro e siamo a destinazione, questa volta si alloggia al Vecchio Pescatore. Dormirò in compagnia di una coppia di rondoni chiacchieroni che hanno il nido proprio sulla mia finestra. Mi sveglieranno alle 3 e andranno avanti a vociare pettegoli fino all’alba. Sognerò di dormire nel loro nido, in posizione fetale, accudita e protetta come dentro un ventre materno. Ho sentito che mi crescevano le piume, le toccavo ed erano morbide. Potere del cammino: è cominciata la metamorfosi.

Foto: Scarpetta di Venere, Camosciara, lago di Barrea

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