Benvenuti Millennials

Dovremo lavorare molto più a lungo, fino a quasi 70 anni. Non è una bella prospettiva. Ma ce la siamo andata a cercare. Non per la crisi. E nemmeno perché non abbiamo riformato prima il sistema previdenziale, correggendo le ingiustizie e facendo in modo che ognuno ricevesse per quanto aveva contribuito. La coperta è diventata corta, bisogna favorire lo sviluppo. E i pensionati, che sono i più improduttivi di tutti, vengono penalizzati. Giusto o sbagliato che sia, ha una sua logica. Ma il vero motivo per cui dovremo lavorare più a lungo è un altro, secondo me. Negli ultimi anni, si è diffuso nella società occidentale un trend molto popolare: quello del “vecchio a chi?”, oppure del “sempre giovane”. Insomma, ci rifiutiamo di invecchiare. Se a 50 anni posso fare un figlio, perché a 60 non dovrei continuare a lavorare? Certo che posso e che devo. Diciamoci la verità: gli uomini e le donne sono perfettamente in grado di continuare a essere utili dopo i 60 e oltre. Ci siamo abituati a pensare che, a un certo punto della nostra vita, si smetteva di lavorare e ci si dedicava ad altro:  a farsi qualche  bel viaggio, all’hobby che ci piace oppure all’altro lavoro, quello che magari prima, quando c’era il posto fisso, coltivavamo nel tempo libero.

Si tratta di cambiare mentalità e di accettare che, se la vita si è allungata, di conseguenza è naturale che anche il tempo del lavoro si dilati. Per chi lo considera un’ingiustizia, il problema semmai è un altro: perché non si vede l’ora di essere pensionati, anche se questa condizione ci fa sentire oggettivamente vecchi? La spiegazione è semplice: perché si vive il lavoro come un peso, una oppressione, uno stress. Io credo che molte professioni potrebbero diventare meno faticose se cambiasse l’organizzazione del lavoro, il modo in cui lavoriamo. Se, per esempio, ci fosse una flessibilità reale sugli orari e su come prestare la propria opera. Se l’informatizzazione degli uffici servisse a “liberare” le persone dall’obbligo di andare in ufficio se non lo vogliono, ma comunque consentisse loro di lavorare bene da casa. Perché non possiamo essere più felici sul posto di lavoro? E, dunque, accettare di lavorare più a lungo con gioia, perché ci piace quello che facciamo e, soprattutto, come lo facciamo? La verità è che finora in Italia non c’è stata una reale innovazione; che i metodi di lavoro sono troppo spesso obsoleti; che l’introduzione delle nuove tecnologie, in molti casi, è stata solo di facciata, come nella pubblica amministrazione. E, comunque, se l’innovazione è servita per aumentare la produttività e l’efficienza, di certo non è stata utile per migliorare la qualità del lavoro, la soddisfazione del lavoratore. Succede un come per la motocicletta qui sopra: un superbolide all’apparenza, in realtà una fragile (ma in questo caso bellissima) opera fatta di cartone. La nuova tecnologia è così: potrebbe permettere di correre e superare tutti, ma si squaglia al primo scroscio di pioggia se male applicata.

Ma abbiamo speranza. C’è una generazione che questi metodi non li accetterà. Sono i Millennials, i giovani nati dal 1992 in poi, quelli che sono diventati maggiorenni nel nuovo millennio. Quelli che si affacciano ora sul mercato del lavoro. Loro sono la generazione che cambierà il mondo. Lo dicono tutti gli studi. Conoscere loro è conoscere il futuro. Perché sono la prima generazione globale, quella cresciuta con internet. Contrariamente alla generazione precedente (i nati negli anni Settanta-Ottanta), che si è adattata alle tecnologie, i Millennials si nutrono di tecnologie, non ne possono fare a meno come dell’aria che respirano. Questi ragazzi sono abituati a lavorare ovunque (con smartphone e tablet), quindi sarà impossibile (oltre che improduttivo) costringerli a stare a una scrivania. Lo dico perché ogni tanto con questi giovani di 20 anni o poco più lavoro, li vedo all’opera. Possono stare ore davanti a un monitor con una concentrazione infinita su un progetto, indifferenti al fatto di trovarsi alla fermata dell’autobus o sul tavolo di cucina, dialogando in contemporanea con colleghi in ogni parte del mondo. Ma le imprese non sono preparate per accoglierli: da una ricerca svolta dalla società di consulenza Accenture a livello mondiale, più di un quarto dei giovani fino a 29 anni (quelli che già lavorano?) si dichiara insoddisfatto della tecnologia fornita dalla propria azienda. Questi giovani sono motociclette rombanti arruolate per stare in garage.

Dovremo aspettare l’arrivo dei Millennials al potere per assistere alla rivoluzione dei metodi con cui lavoriamo e alla “liberazione” dall’oppressione da ufficio? Io ci credo. Mi dispiace solo di una cosa: temo che, quando i Millennials arriveranno al potere e cambieranno il mondo, io sarò già andata in pensione.

Alessandra Beltrame

La “motocicletta”  è un’opera dello scultore Chris Gilmour che espone a Pietrasanta fino al 9 aprile. Lavora con un unico materiale: il cartone riciclato.

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