Pasolini e il governo dei tecnici

Pier Paolo Pasolini uomo politico capace non solo di anticipare l’evoluzione della società italiana degli ultimi decenni del secolo scorso, ma anche di leggere il nostro presente, offrendoci una bussola per uscire dalla crisi della politica e delle sue forme d rappresentanza. Sono le conclusioni a cui è giunto il politologo Giorgio Galli, che analizza la figura del grande intellettuale friulano nel libro Pasolini, comunista dissidente. Attualità di un pensiero politico (Kaos edizioni). Galli è venuto a Udine per parlare del suo lavoro giovedì 7 giugno alla libreria Friuli, a 90 anni dalla nascita di Pasolini. La mattina, Galli ha visitato il Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa su invito del  direttore Angela Felice. Del Centro Studi è il documento nella foto: appartiene al periodo in cui Pasolini faceva attività politica nella sezione del Pci di San Giovanni di Casarsa. Vi si legge: “I democristiani hanno dimostrato… che… non capiscono nulla di poesia.”.

Professor Galli, lei si è sempre occupato di partiti e movimenti politici. Perché ha scelto questa volta di analizzare la figura di un intellettuale, un artista come Pasolini?

“Perché di Pasolini, l’artista italiano forse più conosciuto, apprezzato e studiato al mondo assieme a Fellini, è stato finora trascurato e sottovalutato il pensiero politico, che è invece rilevante ed emerge da un corpus molto solido e organico di scritti dalla fine degli anni Quaranta fino al testo dell’intervento che avrebbe dovuto pronunciare il giorno dopo la sua morte, nel novembre 1975, al congresso del Partito Radicale. Si cita spesso la sua analisi critica della società, la sua disillusione, anzi direi la disperazione con cui giudicava la deriva consumistica che aveva imboccato l’Italia. Si ricorda l’evoluzione del suo cinema, con Salò come apoteosi del suo pessimismo. Ma il Pasolini politico è diverso: è ancora un uomo capace di sperare, per esempio riguardo al ruolo degli intellettuali che gli sta tanto a cuore. Questa è la sua attualità, soprattutto oggi”.

Oggi Pasolini avrebbe 90 anni. E anche se è stato ucciso 37 anni fa, di lui si continua a parlare molto: perché?

“Possiamo dire che Pasolini da vivo era guardato con sospetto e insofferenza anche da chi condivideva la stessa cultura marxista. Mentre da morto è diventato un riferimento anche per quelli che lo criticavano in vita. La ragione è data dalla sua originalità e non omologazione. Il che rende ancora più interessante il suo pensiero politico”.

Cosa ci insegna dunque il Pasolini politico?

“Pasolini aveva intuito che il capitalismo non poteva risolvere i problemi sociali e che per questo sarebbe entrato in crisi. Che  l’allargamento dei diritti non era solo una  questione di welfare ma che bisognava rendere l’Italia un paese più libero e civile. Da studioso della politica, ho scoperto in Pasolini una figura estremamente affascinante, che si staglia nel vuoto culturale odierno della sinistra italiana. Il primo decennio del Duemila ha confermato quanto la nostra classe intellettuale e politica sia inadeguata ad attuare quelle riforme di cui abbiamo disperato bisogno. Secondo me, siamo in una situazione peggiore del 1975, quando comunque si concludeva un ciclo di grandi conquiste sociali”.

L’analisi di Pasolini sulla crisi del capitalismo sembra tagliata apposta per descrivere – e stigmatizzare – l’evoluzione ultima della politica italiana, con la classe dirigente che si fa da parte, alza bandiera bianca e lascia subentrare il governo dei tecnici.

“Sì, è proprio così. Si tratta di una deriva che, vista alla luce del pensiero politico pasoliniano, non può che far prevedere conseguenze catastrofiche, se non cambia la rotta. Perché il governo Monti non rappresenta altro che valori di un capitalismo maturo, anzi vecchio, e quindi proprio per questo non in grado di affrontare la crisi ma solo di amministrare l’esistente, lasciando irrisolti i problemi, le istanze, le esigenze del ceto di non privilegiati che, anzi, viene ancor più penalizzato dalle misure adottate. E una società sempre più ingiusta e meno inclusiva non può che produrre ancora crisi e tensioni.

Una voce, dunque, che giunge profetica fino ai giorni nostri. Una guida, quella del Paolini politico, che avrebbe potuto continuare a illuminarci il cammino ancora oggi, se non fosse intervenuta la sua morte tragica e tuttora misteriosa, che lei chiama  “un delitto politico”: è così?

“Certo, non in questo libro ma in un mio scritto all’inizio degli anni Novanta. Non ci sono dubbi che l’analisi approfondita del suo contributo al dibattito politico di quegl anni mi ha reso ancora più convinto del fatto che la sua morte sia collegata al suo essere un personaggio scomodo, un libero pensatore che tuonava contro la Dc e contro la Chiesa dalla prima pagina del quotidiano della borghesia italiana, il Corriere della Sera, proprio mentre passava il referendum sul divorzio e si cominciavano a diffondere le prime giunte di sinistra nei Comuni. Altro che intellettuale isolato, altro che artista fuori dalla realtà! Pasolini era attivissimo e infaticabile. Avrebbe avuto ancora molto da dare. Chissà, forse doveva essere solo una spedizione punitiva, che poi è degenerata nel massacro che sappiamo. Forse non lo sapremo mai. Ma ci resta il suo pensiero. Un’eredità importante. E mi ha fatto molto piacere venire a parlarne per la prima volta in Friuli, terra che Pasolini amava”.

Alessandra Beltrame

Messaggero Veneto, giugno 2012

Giorgio Galli al Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa.

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