Se camminare è farsi viandante, migrante, lasciare e ritrovare le radici

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Io cammino. Da qualche anno mi piace esplorare il mondo a piedi. Ma uso le gambe più che posso anche nella vita quotidiana. Non ho raggiunto Santiago di Compostela, né ho percorso la Via Francigena. Cammino normalmente, dove mi portano le amicizie e le curiosità. Ritornando spesso in Friuli, ho cercato di trovare occasioni per condividere la mia passione. Ed è stato come scoprire un fiume carsico. Ho trovato associazioni, club, gruppi che amano salire sulle vette, passeggiare alla ricerca di fiori da fotografare, ritrovarsi per il piacere di raggiungere una baita, emozionarsi davanti a un panorama, seguire sentieri storici e letterari. Ho trovato una Società Alpina Friulana in piena forma, con migliaia di iscritti e sezioni attivissime da Cividale a Gemona, da Tricesimo a Tolmezzo. Ho fatto in tempo a rivedere la gloriosa sede di Udine, in via Beato Odorico da Pordenone, che mi ricordava l’infanzia, e partecipato alle lezioni (affollatissime!) dei corsi invernale ed estivo di escursionismo nella fiammante nuova sede. L’esperienza, il volontariato, l’organizzazione sono un patrimonio fantastico che mi hanno reso fiera di farne parte. Certo, io sono più da cammino lento, meditato, non vado a piedi per battere il record, apprezzo il gesto atletico ma non se è fine a se stesso. Ma al Cai (pardon, alla Saf) che ho conosciuto c’è posto per tutti, e le lezioni danno la stessa importanza alla sicurezza e al godimento della natura, al riconoscere i segni di un temporale e a leggere la carta geografica, aspetti peraltro fondamentali per chi va a piedi (ma direi per tutti). Il corso sugli alberi mi ha insegnato a distinguere il maggiociondolo e il carpino bianco, la farnia e l’ontano.

Per girare la campagna e i dolci colli friulani ho trovato invece come alleata Legambiente con l’attivissima sezione di Udine e un Marino Visintini scatenato che a ogni uscita a caccia di erbe spontanee e borghi semidimenticati (sapete dov’è Reant?) si trascina dietro centinaia di persone entusiaste di scarpinare da mattina a sera. E non posso dimenticare un altro motivatore di giri nella natura e non solo: Alberto De Toni e la sua Nedinske Doline, ovvero la Pro Loco delle Valli del Natisone. bCon i suoi appuntamento lungo tutto il corso dell’anno, di giorno, di notte, sulla neve o nell’afa di agosto, e l’ispirata compagnia di poetesse e poeti, De Toni ha creato un circuito virtuoso di appassionati che arrivano anche dal Veneto per incamminarsi sui sentieri della Grande Guerra, entrare nelle grotte e nelle trincee, raggiungere commoventi cime grondanti di storia.

Della Carnia ho un ricordo bellissimo per il viaggio fatto l’autunno scorso con i Rolling Claps: tre giorni di sole luminoso da Timau a Venzone, camminando lungo il Bût, la strada romana che va a Museis (Renato Garibaldi ci ha ospitati nel suo Bosco, un luogo da vedere) e passa per borghi fatati come Ramazas, incontrando solo mucche e pastori; poi Noiaris, Priola, malga Dauda, Fielis, San Pietro di Zuglio, Sezza, Fusea e Tolmezzo, Cavazzo. Quasi sempre su sentieri, ciclabili, lontano dal rumore dei motori, dalla pazza folla. Che privilegio! I Rolling Claps sono gli stessi con cui nel 2014 avevo compiuto l’impresa di andare da Tarvisio a Venezia a piedi, in nove giorni: non solo un’atleta, vi assicuro che si può fare. L’Alpe Adria Trail, il super sentiero lanciato dalla Regione, osa ben di più: 43 tappe di cammino fino in Carinzia e in Slovenia e a Muggia, passando da Valcanale e Cividale. Ne ho percorso un tratto dalle parti di Fusine e mi sembra ben segnalato, oltre che meravigliosamente suggestivo. Tornando alla Carnia, qualche giorno fa sono salita a Salars di Ravascletto a trovare Ulderica da Pozzo e il suo borg da memoria. A piedi abbiamo camminato con un codazzo di gente per conoscere il paese, il suoi volti, le sue antiche pietre. Su per i “troi”, i sentieri: è così che lei scatta le sue foto più belle.

Ed è bello scoprire il Friuli camminando. O riscoprirlo, per me che sono emigrata. Calpestare la terra è anche ricongiungersi alle proprie radici. E’ farsi migrante, viandante, a contatto diretto con le gioie ma anche i dolori del mondo. Entrare in un paese da una stradina secondaria non è come arrivare in piazza dalla via principale, spesso trasformata in una pista per automobilisti che sfrecciano annoiati per raggiungere in fretta un’altra meta. Queste strade, le strade di paese, a volte non hanno nemmeno i marciapiedi, e ti capita che devi rasentare i muri perché c’è il camion che non dà tregua (e non rallenta). Ma anche le città non sempre, e non ovunque, sono fatte per i pedoni. Solo camminando te ne accorgi. Camminando si osserva, si annusa, si conosce, ci si ferma a chiacchierare.

Per questo sarebbe utile che i nostri urbanisti e amministratori camminassero un po’ di più, per notare quanto il mondo urbano, il mondo dell’uomo, abbia bisogno non solo di progetti funzionali alle macchine, qualunque esse siano. In fondo, anche la bicicletta è una macchina,  pur essendo azionata dalle nostre gambe. E capita che le piste ciclabili, che per fortuna sono sempre più numerose, a volte sostituiscano i marciapiedi, o li riducano, o vi si sovrappongano. Così io, che sia vado in bici sia cammino, noto che spesso chi cammina si lagna dei ciclisti, e i ciclisti si lagnano dei pedoni, i quali (è vero) invadono le loro corsie, ma a volte perché non hanno alternativa. Invece tutti e due dovrebbero allearsi ed essere felici, e pure andare d’accordo con gli automobilisti, perché ci devono stare anche loro a questo mondo, ci mancherebbe. Ma non solo loro. Invece di cercare la strada per la felicità, a volte basta un sentiero. O un marciapiede. Buon cammino a tutti.

Foto: Guatemala, lago Atitlàn, Sololà, giugno 2015

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