Altan: “Viva la satira libera”

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“La satira? Chi la fa deve prendere posizione. Quando funziona bene è perché c’è una parte assunta con coscienza. Il discorso dei 360 gradi mi pare presuntuoso. Non ci credo. Diventa un esercizio permanente di accademia, perde di sapore “.
Volete ridere? Dimenticatevi della par condicio.
Parola di Altan.
Che assolve anche la volgarità: “Il linguaggio dev’essere più o meno quello. La satira ha bisogno di elementi forti per esprimersi. E poi la gente parla così”.
Detto questo, è chiaro che non tutti hanno la mano felice del vignettista friulano, che riesce a essere pungente senza offendere, acuto, sottile, ma mai troppo volgare. Altan una posizione ce l’ha. E irresistibile lo è da sempre, da quando le sue donne voluttuose adagiate sui divani sentenziavano sui mali dell’Italia sulle prime pagine dell’Espresso. Ora anche su “Repubblica” quegli omini frustrati, un po’ stralunati, da soli o in coppia, riescono sempre a sollevarci dalle umane povertà, magari per un attimo.
Ci sono poi i Berlusconi, gli Andreotti, c’era Craxi, che, trasfigurati dalla sua penna, diventano modelli di italiani qualunque, di elettori più che di eletti, che parlano magari al figliolo, al macellaio. Volete fare una ripassata? A maggio uscirà “Anni frolli”, raccolta delle vignette del passato prossimo, le stampa Einaudi.
Viva la satira, dunque, ma quella vera, quella libera. Anche se, in tempi di censure e di vere o presunte par condicio, e con le elezioni alle porte, fare dell’ironia rischia di diventare un mestiere da misurare col bilancino.
“Ma è incompatibile. E’ un po’ come la Procura che chiede i testi di Eminem. Assurdo. Si vorrebbe applicare la par condicio a personaggi che per loro stessa natura sono di parte. E poi, in una situazione politica come quella di oggi ci si tende a dividere per schieramenti.
Anche i giornali americani scelgono una linea, non vedo perché non dovremmo farlo noi”.
Altan non ha paura delle querele. “Veramente non ne ho mai ricevute. Ma il mio modo di fare satira quasi sempre prescinde dal fatto in sé, dunque è meno attaccabile. E poi, a me interessa ciò che rimane di quel fatto, quello che produce nel dibattito, come cambia l’atmosfera”. Per questo, le sue vignette non nascono tutti i giorni. “Non credo riuscirei a farne più di 2-3 la settimana. Non le faccio sul momento. Se ho un po’ di tempo affinché le cose si depositino, mi vengono meglio”. Di amici vignettisti ne ha qualcuno, s’incontrano di tanto in tanto ai premi e alle mostre, e se deve dire chi è il migliore non ha esitazioni: “Elle Kappa. Per il quotidiano è la più brava di tutti”.

Altan, però, un impegno che lo prende quotidianamente ce l’ha, ed è con la Pimpa, la cagnolina bianca a pallini rossi che ormai firma un mensile, un trimestrale, un sito e svariati altri gadget per la Franco Cosimo Panini. Migliaia di abbonamenti e di fedelissimi, al punto che, se, per raggiunti limiti di età, un ragazzino decide di disdire l’abbonamento, scrive tutto dispiaciuto che sì, è diventato grande, ma che lo raccomanderà al fratellino, o al vicino di casa, e che porterà la Pimpa sempre fra i ricordi più cari. Altan legge e ringrazia. Poi, magari s’ispira per qualcuna delle sue storie.
Perché il mondo di Altan è un po’ singolare: molto nasce da ispirazioni familiari – la Pimpa nacque alla fine degli anni settanta per far divertire la figlia, le languide donne sui sofà ricalcano la sensualità di Mara, sua moglie – e nella grande casa colonica di famiglia ad Aquileia, Bassa friulana, a pochi chilometri dalla laguna, Altan sembra più in dorato isolamento che nel cuore pulsante della cronaca da cui trae le sue fulminanti battute. Eppure qui coltiva tutte le informazioni che gli servono. Le sue fonti, ammette, “non sono di prima mano, ma forse è proprio per questo che la gente trova sintonia con i miei personaggi: perché dicono cose che tutti pensano, e nascono dalla quotidiana osservazione di fonti che hanno più o meno tutti. Vivendo qui, mi mancano completamente le cosiddette informazioni di corridoio, ma non mi servono. Preferisco una chiaccherata con gli amici”. Poi c’è la tv, che guarda “abbastanza”, mentre Internet “mi serve per lavorare (disegna le vignette a mano, usa il computer per dipingerle – “Corrisponde di più alla resa che poi hanno sul giornale” – e inviarle). A volte parlo con persone che trovano significati reconditi nelle frasi che metto in bocca ai miei personaggi, citandomi indiscrezioni e interpretazioni di vicende politiche che assolutamente ignoro”.
Consapevole della responsabilità? Far sorridere gli italiani a volte è difficile, ma serve. “Gli spunti non mancano. Intanto, ci sono i politici, che le sparano talmente grosse… Poi c’è la realtà italiana che ha tante novità ma altrettante costanti: il voltagabbanismo, la frammentazione, il masochismo della sinistra. L’italiano è un popolo che ha la memoria cortissima per certe cose, e per questo continua a ripetere certi errori, ce l’ha invece indistruttibile per altre. E allora si porta dietro questioni, conflitti, persino dai tempi del Medievo”.
Destino di un umorista, che l’Italia ha dovuto sceglierla proprio in virtù di questa sua particolarissima abilità. “Andai a vivere in Brasile, partii con un amico che faceva cinema, avevo poco più di vent’anni. Fu un impatto fortissimo. Ancora oggi, ci vado quando posso, è la mia seconda casa”. A Rio de Janeiro è rimasto 6 anni, ha conosciuto Mara. Ci sarebbe rimasto a vivere per sempre. Ma aveva cominciato a disegnare le vignette: “Era quello che sapevo fare, sinceramente non credevo che sarebbe diventato il mio primo lavoro. Ma dall’estero era troppo difficile calarsi nella realtà italiana, rientrai, prima Milano, poi qui in Friuli, dove ho riaperto la casa che era di mio nonno”.
Tra tanti personaggi che ha creato, ci sono anche i preferiti. “Mi divertono molto le coppie padre e figlio, madre e figlia. Di solito, quello che è seduto in poltrona rispecchia un po’ il mio stato d’animo, ciò che direi io”.
E il disegno? Le tue immagini spesso diventano icone moderne: le mettiamo sui frigoriferi, nei diari. “Il disegno contava di più all’inizio. Ci pensavo molto. Adesso è molto più spontaneo, anche più essenziale. A volte mi accade una cosa strana: disegno una faccia che non corrisponde a ciò che volevo. Ma quella faccia che mi ha tradito mi suggerisce un’altra battuta, più divertente della prima. E’ un po’ come se il personaggio mi guidasse la penna, mi dicesse cosa fare. E spesso ha ragione”.

Alessandra Beltrame

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