Tritoni a Majano? Sì, se ci si mette in cammino con Ecomuseo e Rolling Claps

È un viaggio emozionante sulle antiche vie, un tuffo in acque nascoste e preziose, a cercare una natura viva che sgomita fra il cemento e le villette; un percorso attraverso testimonianze di cultura materiale e di rinascita che rigenera e aiuta a leggere il presente con occhi nuovi.

Questo è stato il cammino da Majano a Gemona attraverso Buja, Artegna e Montenars che l’Ecomuseo delle Acque ha imbastito con i Rolling Claps. Il primo benemerito organismo che da anni stimola la conoscenza del territorio del Gemonese, ovvero quella parte del Friuli che ha patito la maggior parte dei mille morti del terremoto del 1976, e lo fa difendendo produzioni tradizionali e luoghi della memoria per nuovi e proficui usi. Il secondo un’associazione di liberi viandanti dedita a percorrere i sentieri del Friuli e non solo.

Reduci dal periplo della regione a piedi, i Claps hanno tracciato stavolta un sentiero che toccasse le terre care all’Ecomuseo e in particolare alle sue chiare, fresche e a volte neglette acque di cui questa terra è ricca ma se ne dimentica. Ecco allora che mettendosi sulla strada a piedi, non appena scompaiono asfalto e automobili, il territorio dischiude tesori inaspettati. Come le torbiere, che uno pensa che esistano solo in Irlanda o in Scozia (perché te ne parlano, per loro sono ricchezze) e invece eccole qui, frutto di paludi prosciugate, incredibili scrigni di biodiversità, casa di tritoni crestati e punteggiati, delle preziose bisce dal collare, del colubro e del biacco (non devono fare paura: sono inoffensive, rare e protette) oltre a rane e rospi in quantità.

Il fiume Ledra, che appare dopo Comerzo, sembra limpido e intatto. Pesci ce ne sono tanti, dicono i pescatori, ed è un bene. Ma questo fiume è molto più importante perché abbevera la pianura, e davvero non se ne può fare a meno. “Qui sotto c’è tutta l’acqua che noi beviamo” racconta Nicola Picogna, la nostra guida. È il dono che ci ha lasciato il ghiacciaio quando si è sciolto diecimila anni fa.

Il Ledra è stato irregimentato, incanalato, imbrigliato e reso docile da opere idrauliche da svariate generazioni. Però non ha perso del tutto la sua popolazione originaria, e allora ecco che ci vivono albanelle e germani reali, l’airone cinerino e quello bianco, a volte il martin pescatore. Qui, solo qui, grazie alle torbe, nidifica il falco di palude. La zona, dopo Casasola, si chiama Fontana di Abisso, un nome che fa venire gli “sgrisui” come si diceva a casa mia. Oggi c’è un sole che spacca e noi siamo al sicuro e in bella e ampia compagnia, ma con la nebbia e all’imbrunire queste zone umide potrebbero evocare una novella di Poe…

Niente di tutto ciò, però, può scalfire l’umore del gruppo che a Santo Stefano di Buja, di fronte alle razionali casette squadrate di Gino Valle, il sole alto nel cielo, si comincia a chiedere se siano un miraggio quella magnifica cupola, o quel lavatoio d’altri tempi. È tutto vero, gelsi traboccanti di more mature e condomini compresi, però il calo di zuccheri dopo tre ore di cammino si sente, e infatti dietro l’angolo compare una tavola imbandita. Benedetto Ecomuseo, che organizzazione impeccabile! Dai al viandante un buon pasto e un letto caldo e ti ricorderà per la vita.

Il mio racconto si ferma qui, perché ho dovuto lasciare il gruppo. Con rammarico perché avevo appena cominciato a divertirmi. E stavano apparendo le colline e i dolci profili delle prealpi.

Il cammino però continua. Il percorso è ormai tracciato. Ce ne saranno altri, attraverso queste terre di ricostruzione e orgoglio, e attraverso altre. A ritmo lento, passo dopo passo, i luoghi si dilatano, si aprono, si fanno generosi. Non si finirebbe mai di conoscerli. Perciò cammino. Altro modo non c’è per godersi tante meraviglie.

Grazie a Donatella: ti ho rubato la foto!

Trovate altri racconti e le cronache del cammino sulle pagine dell’Ecomuseo e dei Rolling.

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