Il destino di chiamarsi Hemingway

John, il nipote “milanese” dello scrittore, sta lavorando a una biografia del nonno. Più privata, intima, forse anche scomoda. Ma “vera”.

Il vento si è alzato. Prima che arrivi la tempesta, John Hemingway mette in acqua il catamarano e si lancia nelle onde. “E’ molto più divertente quando il tempo è così. Sono nato a Miami, sono cresciuto andando in barca a vela”. Al rientro, trova Ornella e i figli Michael e Jacqueline. Michael è il primo Hemingway con passaporto italiano, è nato sette anni fa a Milano. La città dove il nonno Ernest incontrò il suo primo amore, l’infermiera che lo curò dalle ferite di guerra. Voleva sposarla, ma lei gli disse no. John, di professione traduttore, il suo primo amore italiano lo ha sposato. Sarà il destino, ma anche Ornella è stata infermiera. John è figlio di Gregory, quel bambino che, nelle foto di Robert Capa, il fucile ancora stretto al braccio, sonnecchia felice accanto a Papa. Sua nonna era Pauline Pfeiffer, giornalista di Vogue. Gregory detto Gigi (pronunciato Ghighi) era l’ultimo figlio dello scrittore diventato uno dei miti letterari del secolo. Una vita, la sua, larger than life: intensa, a volte esagerata, tragica fino all’epilogo. Una vita vissuta in tanti luoghi, dalla Florida all’Africa, da Parigi a Cuba. E qui, nella laguna friulana, fra le dune e i canneti di Lignano Sabbiadoro, dove lo scrittore veniva a cacciare e dove il nipote John è giunto sulle sue tracce, ospite del Premio italiano intitolato al nonno. Anche John ha il suo pezzo di storia da raccontare sugli Hemingway: lo sta facendo per un editore inglese, oggi che, superati i quarant’anni (è nato nel 1960), ha trovato il necessario distacco emotivo per guardare la sua famiglia da studioso, e non più solo da nipote.

Grazia John, sta scrivendo un libro su suo nonno, in particolare sul rapporto con suo padre. Perché?
Quando mio padre è morto, nel 2001, sono state scritte cose terribili sul suo conto. Hanno detto che era odiatissimo da suo padre. Invece, continuarono a parlarsi e a scriversi fino alla fine. Io ho in mano quel carteggio.

Lei non ha mai conosciuto suo nonno, morì poco dopo la sua nascita. Cosa le raccontava suo padre di lui?
Non ne parlava mai, questo è il dramma. Abbiamo vissuto l’infanzia a Miami, a due passi da Key West, dove il nonno scrisse Addio alle armi, senza quasi sapere chi eravamo. I miei fratelli e io lo abbiamo scoperto presto, ma non certo da nostro padre. Era come se ci volesse proteggere dal peso del nome Hemingway. In realtà, lui ci voleva nascondere il suo dramma personale.

L’infanzia felice, poi che succede?
L’amore fra i suoi genitori finisce presto. Sua madre, nel 1951, muore dopo un violento litigio al telefono con l’ex marito. La causa della discussione era stata Gregory, arrestato, si saprà poi, perché indossava abiti femminili. Ernest incolperà mio padre della morte. Gregory farà altrettando con il padre, ma si tormenterà per il rimorso. Acuito, nell’estate del 1961, dal suicidio del padre, che continuava ad amare. Ricambiato. Le lettere testimoniano questa speciale relazione.

Perché si trattò di una relazione speciale?
Perché Gregory e suo padre erano molto simili, direi speculari. Per questo, forse, non si potevano soffrire, ma allo stesso tempo erano molto “vicini”. Avevano le stesse qualità, le stesse debolezze. Gregory fu molto amato da mio nonno da bambino. Era più bravo di lui a caccia: a 11 anni vinse a Cuba un premio nazionale. Ernest vedeva sé stesso da giovane, vedeva quel Nick Adams che andava narrando nei suoi racconti. Si specchiava in suo figlio, sentiva che, come lui, era capace di fare molto bene, ma anche molto male. Un giorno disse: Gigi è quello della famiglia con la parte più oscura, a parte me.

In che cosa padre e figlio si assomigliavano?
Erano due radicali, nelle passioni e nelle scelte. Avevano una grande consapevolezza, sia di quello che li circondava, sia di loro stessi, ma anche un’enorme fragilità. E la medesima spinta autodistruttiva. Per mio nonno, un vero scrittore doveva scrivere ciò che non era mai stato scritto prima. Superare i limiti, cercando l’ignoto e rischiando di persona. Mio padre, diventato medico, proprio come suo nonno, l’amatissimo padre di Ernest (morto suicida nel 1928) ha rivolto su se stesso, sul suo corpo, questa ricerca.

Perché, in che modo lo ha fatto?
Portando alle estreme conseguenze la sua ambiguità sessuale, che è stata probabilmente la causa della sua malattia mentale. Era un maniaco-depressivo: le sue crisi arrivavano all’improvviso, con l’età quelle depressive erano predominanti. Nel 1994-95 si è operato per cambiare sesso. Si faceva chiamare Gloria, ma non cambiò mai i documenti. Viveva una doppia vita, con noi fu sempre un uomo. Non è vero che Ernest lo odiava per la sua ambiguità. Il giorno che lo scoprì vestito da donna, gli disse solo: You and I come from a very strange tribe (tu e io proveniamo da una tribù molto strana).

Suo figlio gli assomigliava anche in questo?
Ricordiamoci che Ernest fu vestito da donna dalla madre fino a due anni, poi a due e mezzo il padre gli mise in mano un fucile. Nel romanzo postumo I giardini dell’Eden, di cui è stata pubblicata una versione molto “censurata”, la sessualità di Hemingway appare molto più sfaccettata. Anche lui si interrogava del labile confine fra uomo e donna. Ed era una persona più complessa, e più “vera”, di quello che raccontano certe biografie.

Chi era il vero Hemingway?
Un uomo che, prima di tutto, cercava la verità, l’autenticità dei rapporti. Un uomo mite, curioso, avido di conoscenza per il mondo e per il prossimo. Uno che non faceva distinzioni fra ricchi e poveri, fra classi sociali, che aveva il grande dono di ascoltare. Anche mio padre era così. Come mio nonno, amava stare con i più deboli, con i ribelli. L’ultima sua telefonata fu in occasione del G8 di Genova, mi chiese cosa stava accadendo. “I am with those who are raising hell”, sono con quelli che manifestano, mi disse.

Che eredità lei sente di portare di suo padre, di suo nonno? Anche lei scrive…
Mio padre è morto nel 2001, solo, in carcere a Miami. Nessuno ci avvisò che era stato arrestato, a causa di una delle sue crisi. Stava male, lo trovarono vestito da donna, lo misero nel carcere femminile. E’ morto di un attacco cardiaco esattamente cinquant’anni dopo, lo stesso giorno, la stessa ora, in cui morì sua madre. Soffriva di cuore, non fu suicidio. E’ stato il potere della mente: era talmente ossessionato da sua madre, al punto da morirne. Ho cominciato a studiare la mia famiglia perché voglio capire. Me stesso, mio padre. Per capire lui, devo sapere chi era veramente mio nonno. Forse ne uscirà un ritratto non convenzionale, lontano dai cliché, anche scomodo. Ma, cercando la verità, o almeno provandoci, sento di proseguire quella ricerca che è stata la ragione di vita di mio nonno, e anche di mio padre.

Alessandra Beltrame
Grazia, Agosto 2004.

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